Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla mia morte, che un giorno dovrà pure arrivare e che egoisticamente io temo (…) Ecco tutta la mia avventura. Non è né allegra né triste, è la vita. Non fisso a lungo il cielo perché quando i miei occhi ritornano al suolo il mondo mi sembra orribile.
In questa dichiarazione c’è tutto François Truffaut: il cinema, la letteratura, la musica come droga, come fuga dal quotidiano. Per il grandissimo cineasta francese, scomparso a 52 anni nel 1984, i film sono l’unico posto dove poter vivere. “Ho sempre preferito il riflesso della vita alla vita stessa. Se mi venisse chiesto quali sono i luoghi che più ho amato nella mia vita, risponderei la campagna in Aurora di Murnau o la città dello stesso film, ma non citerei un solo posto che ho realmente visitato, perché non visito mai nulla”.
La vita, i sentimenti, le passioni di Truffaut erano già proiettati sul grande schermo. Soltanto lì poteva gestire i suoi desideri, innamorarsi delle sue attrici per perdere la testa per i suoi personaggi, mostrare tutto il cinema che ama, la sua personale politica degli autori che riprendeva forma sullo schermo oltre che dalla sua attività di critico cinematografico, soprattutto per i Cahiers du cinéma.
L’anniversario della nascita – 90 anni - è sicuramente l’occasione per scoprire (o riscoprire) la sua filmografia, fatta di cicli, sfumature, di tante piccole opere d’arte. Ma anche per approfondire i volumi a Truffaut, dedicati, come quello, celebre, di Paola Malanga: “Il cinema di Truffaut”, recentemente rieditato con la prefazione di Paolo Mereghetti.
Lo si può fare ad esempio su MYmovies ONE, dove da qualche settimana sono disponibili 11 film, oltre che il libro Il cinema di Truffaut di Paola Malanga in formato ebook, ma anche acquistando i prodotti fisici, film e libro, sul nostro shop.
Per scoprire Truffaut non si può che cominciare dal suo esordio come regista, I quattrocento colpi (1959), tra i film fondamentali della Nouvelle Vague, dedicato alla memoria del "padre cinematografico" André Bazin, con cui il cineasta comincia il ciclo dedicato alla figura di Antoine Doinel, che sarà sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud in alcuni dei differenti momenti della sua esistenza. Anarchico come Zero in condotta di Jean Vigo, descrive la turbolenta e ribelle infanzia del protagonista trascurato dai genitori e regala uno dei finali che hanno lasciato il segno per sempre, con lo sguardo in macchina di Antoine nell’inquadratura finale sulla spiaggia.
Nella saga Doinel troviamo poi anche lavori come Baci rubati (1968), forse uno dei suoi titoli più gioiosi in cui c’è l’innamoramento del protagonista e L’amore fugge (1979), quinto e ultimo capitolo del ciclo, che mostra, attraverso il suo divorzio, la fine di tutte le sue illusioni.
Jules e Jim (1962), tratto dal romanzo di Jean-Pierre Roché, è invece uno dei film più importanti e celebri di tutta la sua filmografia. Esalta l’amicizia, la seduzione, la passione per la letteratura attraverso il triangolo tra un francese e un austriaco e una donna incarnata da Jeanne Moreau in uno dei suoi ruoli entrati nel mito.
Sempre da un libro dello stesso scrittore realizza Le due inglesi (1971), altro triangolo sentimentale stavolta struggente e disperato, puro melodramma con i fantasmi del cinema di Mankiewicz dove la parola della scrittura acquista una potentissima fisicità.
Tra i titoli più nascosti della sua filmografia segnaliamo Tirate sul pianista (1960), oscuro incrocio tra noir e mélo con Charles Aznavour nei panni di un pianista in fuga perché coinvolto in un regolamento di conti tra gangster, e La calda amante (1964), accolto da numerosi fischi al Festival di Cannes dove era stato presentato in concorso, è un altro lucida e appassionata ricerca impossibile della felicità, tipica in Truffaut, attraverso la vicenda di uno scrittore che vuole lasciare la famiglia dopo essersi innamorato di una hostess ma lei non ha intenzione di convivere con lui. Particolare attenzione merita anche la commedia nera Mica scema la ragazza! (1972) dove nella dark lady del noir batte il cuore dei personaggi femminili di Truffaut.
I suoi ultimi tre lungometraggi si annoverano infine, per motivi diversi, tra i punti più alti della sua filmografia: lo sguardo sulla Storia (l’occupazione tedesca) e l’amore per il teatro con la mostruosa bravura di Gérard Depardieu e Catherine Deneuve (L’ultimo metrò, 1980), la passionalità devastante e incontrollata tra due ex-amanti dove amore e morte sono i due volti dello stesso destino (La signora della porta accanto, 1981) e la commistione tra commedia e giallo della Vecchia Hollywood dove un agente immobiliare, accusato di omicidio, deve dimostrare la sua innocenza e si fa aiutare dalla segretaria interpretata da una fiammeggiante Fanny Ardant (Finalmente domenica!, 1983).
L’inquadratura finale, che è anche l’ultima di tutto il cinema di Truffaut, è di una vitalità travolgente con il dettaglio dei piedi dei bambini del coro che giocano con l’obiettivo della macchina fotografica. Da qui, idealmente, sarebbe potuta partire un’altra nuova fase. Chissà quanti altri suoi film avremmo potuto ancora vedere...
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La filmografia di François Truffaut
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