Anniversari e ricorrenze

Andrea Zanzotto, il poeta del paesaggio

Illustrazione di Dario De Marco, 2021

Illustrazione di Dario De Marco, 2021

Il paesaggio è al centro dell’universo poetico costruito da Andrea Zanzotto (1921 – 2011) nel corso di una vicenda letteraria che si è dipanata lungo tutto il Novecento e che ha portato la critica a definirlo “poeta più cospicuo della quarta generazione” e “poeta ctonio”. Un corpus poetico che ha attraversato il “secolo breve” come un carso, seguendone le asperità e diluendone il dramma in un poetare che è a un tempo feriale e profondissimo, intimo e universale.

Quest’anno viene celebrato il centenario della nascita del poeta, nato il 10 ottobre del 1921 a Pieve di Soligo, e proprio nel paese natio, luogo ideale e d’ispirazione per i versi “ecologici” zanzottiani, è stata istituita “Zanzotto 100. La poesia dalla A alla Z”, manifestazione culturale che ha visto, dal 3 al 6 giugno, il susseguirsi di interessanti incontri su una delle figure letterarie di riferimento del secondo Novecento e la partecipazione di artisti e poeti, tra cui Franco Arminio, cantore della paesologia. 

Dire il silenzio: la poesia di Andrea Zanzotto

Di Niva Lorenzini | Carocci, 2014

Una lunga complicità. Scritti su Andrea Zanzotto

Di Stefano Agosti | Il Saggiatore, 2015

Ritratti. Andrea Zanzotto. DVD. Con libro

Di Carlo MazzacuratiMarco Paolini | Fandango Libri, 2007

Andrea Zanzotto esordì nel 1951 con la raccolta poetica Dietro il paesaggio (Mondadori), per poi dedicarsi a esperimenti lirici di notevole rilievo con la pubblicazione di Vocativo (1957) e La beltà (1968), che ne ha affermato la centralità nel panorama poetico a lui contemporaneo. Di inesauribile interesse all’interno della sua opera, inoltre, sono i riflessi che investono il linguaggio e, in particolare, la poesia dialettale: quel rustico dialetto patrio, il “veneto comune” che ritroviamo, per esempio, in Filò (1976). Un’antologia della sua lirica (e parte dell’opera in prosa) è compresa nel Meridiano Le poesie e prose scelte (1999). Zanzotto fu anche autore di racconti (Sull’altopiano), di traduzioni – dai classici alla poesia francese del Novecento - e di acuti scritti critici, specialmente sui suoi contemporanei, tra cui Ungaretti, Montale e Sereni. Nerbo della sua ricerca poetica, l’essenza profonda del paesaggio viene espressa dai versi giovanili fino alla sua ultima raccolta, Conglomerati, del 2009.

da Dietro il paesaggio

Nel mio paese

Leggeri ormai sono i sogni,

da tutti amato

con essi io sto nel mio paese,

mi sento goloso di zucchero;

al di là della piazza e della salvia rossa

si ripara la pioggia

si sciolgono i rumori

ed il ridevole cordoglio

per cui temesti con tanta fantasia

questo errore del giorno

e il suo nero d'innocuo serpente

 

Del mio ritorno scintillano i vetri

ed i pomi di casa mia,

le colline sono per prime

al traguardo madido dei cieli,

tutta l'acqua d'oro è nel secchio

tutta la sabbia nel cortile

e fanno rime con le colline

 

Di porta in porta si grida all'amore

nella dolce devastazione

e il sole limpido sta chino

su un'altra pagina del vento.

Climi azzurri, il lume innocuo del sole, una formica che ha consumato il gusto mutato di una ciliegia e laghi dallo stupore di goccia: emerge, così, autentica e potente, la sensibilità ecologica di Andrea Zanzotto, quello sguardo attento a ciò che vi è dentro il paesaggio che lo ha riconosciuto come consapevolissimo e audace difensore di un ambiente “trafitto dal futuro”.

La riflessione sulla folle invadenza dell’uomo e dell’economia sulla natura è disposta entro una percezione integrale del mondo e della natura stessa: quest’ultima si lega indissolubilmente alla poesia, in una ricognizione che mai si abbandona a un cupo e mero catastrofismo ma è tutta protesa a recuperare il prezioso dialogo tra l’“io” e la beltà del paesaggio, in un’adesione alla natura densa di richiami culturali.

Riallacciandosi al dialogo ininterrotto con Leopardi e Hölderlin, sue principali stelle polari, Andrea Zanzotto attua un’identificazione tra io, linguaggio e paesaggio stesso.

La Terra muore perché il linguaggio è sfinito, la natura sbanda perché non c’è cura nel dirla, siamo analfabeti oltre la miseria verbale delle nostre sature voglie.

Dalla ricerca di un’identità impotente e assente, nascosta “dietro” il paesaggio e i segni letterari, ci conduce, con lucida e avvertita sensibilità, attraverso gli aspetti e le suggestioni di una natura che cinge e avvolge, fino alle sfide future.

Ed è il paesaggio l’unica dimensione che fa da rifugio all’esistenza stessa e alla poesia, cui spetta l’impegno di riconsolidare la caduca interconnessione tra uomo e ambiente: quella parola poetica che “sembra divagare e intorbidare, ma infine dilucida quanto v’è di più aggrumato nella storia.”

da La beltà

Al mondo

Mondo, sii, e buono;

esisti buonamente,

fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,

ed ecco che io ribaltavo eludevo

e ogni inclusione era fattiva

non meno che ogni esclusione;

su bravo, esisti,

non accartocciarti in te stesso in me stesso.

 

Io pensavo che il mondo così concepito

con questo super-cadere super-morire

 

il mondo così fatturato

fosse soltanto un io male sbozzolato

fossi io indigesto male fantasticante

male fantasticato mal pagato

e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»

un po’ più in là, da lato, da lato.

 

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere

e oltre tutte le preposizioni note e ignote,

abbi qualche chance,

fa’ buonamente un po’;

il congegno abbia gioco.

Su, bello, su.

 

        Su, Münchhausen.

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