Cult!

Valentina Furlanetto e Alec Ross raccontano Furore di John Steinbeck

Se devo pensare al mio libro del cuore, per la mia formazione, penso a un libro che racconta storie di migranti e che ho letto a vent’anni: "Furore", di John Steinbeck

Valentina Furlanetto

Valentina Furlanetto, giornalista di Radio 24 e autrice del saggio d’inchiesta Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa, edito a maggio da Laterza, si occupa prevalentemente di esteri e flussi migratori e attualmente sta seguendo le principali crisi migratorie che attraversano l’Europa.

E il suo libro cult, oltre a essere il titolo simbolo della letteratura rurale americana, racconta proprio della migrazione lunga e difficile di una famiglia verso il West nell’America degli anni Trenta e della Grande Depressione seguita al crollo del 1929.

È Furore, capolavoro di John Steinbeck, tra i massimi esponenti della letteratura americana e mondiale, e vincitore del National Book Award e del Premio Pulitzer nel 1940.

Furore
Furore Di John Steinbeck;

Nell'odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un'intera nazione.

Il romanzo fu pubblicato in America nell’aprile del 1939, dopo che Steinbeck, nel 1936, era stato inviato in California dal San Francisco News per condurre un’inchiesta sui braccianti e aveva pubblicato una serie di reportage sui contadini fuggiti dal Midwest americano a seguito dell’espropriazione dei loro poderi da parte delle banche. Iniziava così, per i lavoratori agricoli penosamente sfrattati, una trasmigrazione straziante verso la California alla ricerca di un avvenire meno amaro e ingiusto.

L’opera fu segnalata da Elio Vittorini a Valentino Bompiani, che la propose coraggiosamente in Italia, e arrivò nelle librerie italiane nel gennaio del 1940. All’editore Bompiani si deve, inoltre, la felice traduzione del titolo originale The Grapes of Wrath, “i grappoli dell’ira”, espressione contenuta in una famosa canzone della Guerra civile americana che riecheggiava il libro dell’Apocalisse.

L'adattamento teatrale

Un progetto di Emanuele Trevi

Nel 2021 "Furore" è stato portato a teatro dalla grande sapienza e dall’inventiva dell’attore e regista Massimo Popolizio, con l’adattamento teatrale dell’opera a cura dello scrittore Emanuele Trevi.

La prima edizione fu tradotta in pochi mesi da Carlo Coardi tra stravolgimenti e tagli a causa della censura del fascismo: già in America, infatti, Furore era stato etichettato come filocomunista e lo stesso Steinbeck finì nel mirino dei controlli dell’FBI. Allo stesso tempo, secondo il regime, il libro presentava un affresco di un’America divisa e primitiva, immagine perfetta per la propaganda mussoliniana e ragione precipua per cui non ne fu impedita la pubblicazione.
Nell’ultima edizione Bompiani del 2013, curata da Luigi Sampietro e dal traduttore Sergio Claudio Perroni, vengono restituiti i diversi registri linguistici, lo spirito e lo stile audace e unico dell’originale di Steinbeck.

Quell'album di Springsteen

Il Boss si misura con Steinbeck

Nel 1995 Bruce Springsteen si è ispirato al personaggio principale di "Furore", Tom Joad, nella stesura dell’album "The Ghost of Tom Joad", rievocandone la figura paradigmatica attraverso testi sulle frontiere di oggi e sul divario attuale tra ricchi e poveri.

Furore è anche il libro cult dello spin doctor di Obama e Hillary Clinton, Alec Ross, che ne apprezza la profonda umanità.

I libri di John Steinbeck sanno indagare a fondo l’anima umana e la sua angoscia

Alec Ross

Furore racconta la storia dei Joad, una famiglia di tre generazioni privata della propria terra, e della loro devastante marcia lungo la Route 66 alla volta della California. Sono costretti ad abbandonare la fattoria nell’Oklahoma e come altri contadini diseredati vengono denigratoriamente soprannominati Okies. Infatti, sono centinaia le famiglie a peregrinare e a “sciamare” in cerca di lavoro.

Nell’Ovest si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati. Uomini che non avevano desiderato niente videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni uomo prima di andare a combattere un altro.

(Dal capitolo 21)

Quella di Steinbeck è una scrittura immensa e sorprendente per la sua dolorosa attualità: squarci di povertà e disillusione mirabilmente descritti che rievocano l’esodo e lo sciame delle genti che migrano ancora oggi verso una terra promessa.

Furore offre al lettore una testimonianza pittorica e senza tempo su quella che Valentina Furlanetto definisce “una condizione tipica dell’uomo”: il migrare, il lasciare il proprio habitat per motivi economici o di conflitto, nella speranza di un’opportunità migliore. Pagine dense di vocazione poetica in cui aggallano le commoventi assonanze tra i “randagi” che vagano per le contrade, i derelitti della Route 66 e i relitti e la tragedia dei migranti delle acque del Mediterraneo. Emergono con determinazione e coraggio la paura, l’istinto di sopravvivenza, la disperazione di chi emigra e si ritrova di fronte all’inumanità dell’uomo e all’ostilità di chi respinge l’invasore, “per difendere il mondo contro gente del loro stesso sangue”.

E la rabbia cominciò a fermentare.

Nel 1939, il New Republic definì l’opera “Steinbeck’s longest and angriest and most impressive work”, un’opera “arrabbiata”. La rabbia, il furore di biblica intensità da cui ha origine il titolo, rende questa pietra miliare della letteratura americana un libro cult sempiterno e profetico, capace di raccontare stati d’animo e storie che ci riguardano e che conosciamo bene.

Di questo libro mi ha colpito soprattutto il finale, che credo sia il più bel finale della letteratura, perché è estremamente empatico e scioccante e racconta di come l'uomo sia capace di grande umanità, all'improvviso

Valentina Furlanetto

E se l’interminabile migrare “cambia, salda, unisce” e spinge l’individuo a rinarrarsi e a esprimere al meglio sé stesso nonostante paradossi, soprusi e incongruenze, è dall’interminabile migrare che scaturisce quel furore irresistibile, quella forza montante che permette all’uomo di affermarsi, di lottare per il disperato diritto alla vita, di alzare lo sguardo verso il fondo e riconoscere un “sorriso misterioso”, grido di speranza dell’umanità stessa.

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John Steinbeck, autore di numerosi romanzi e racconti, è uno dei massimi esponenti della letteratura americana e della cosiddetta "Generazione perduta". Nel 1962 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura.John Ernst Steinbeck dopo aver frequentato la Stanford University senza mai laurearsi, compare sulla scena letteraria con opere minori finché non raggiunge la notorietà con Pian della Tortilla (1935) a cui seguono molti romanzi racconti e saggi tra cui Uomini e topi, La lunga vallata, Furore - opera grazie a cui Steinbeck riceve il Premio Pulitzer e il  National Book Award -, La luna è tramontata, La valle dell'Eden, Quel fantastico giovedì, Viaggio con Charley. Il favore della critica nei confronti di Steinbeck si basa soprattutto sui romanzi naturalistici a tema proletario che scrisse negli anni Trenta; è in queste opere che la sua costruzione di ricche strutture simboliche e i suoi tentativi di trasmettere qualità mitopoietiche e archetipiche nei suoi personaggi sono più efficaci.Dalle sue opere sono stati tratti numerosi film di successo, che hanno aumentato la popolarità dello scrittore.

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