Il suo nome è... sì, è quello. Proprio quello. Il nome è quello che conosciamo da sessant'anni attraverso i romanzi che gli dedicò Ian Fleming e che da più di cinquant'anni appendiamo alle facce che ne hanno portato i (bei) lineamenti sullo schermo.
D'accordo, c'era quello scozzese di grande fascino che ha stabilito un precedente impossibile da ignorare, aggiustando l'asticella ad altezze quasi impossibili per tutti quelli che gli avrebbero fatto seguito. E infatti, dopo di lui, più o meno il diluvio: mascelle troppo quadrate, sguardi troppo vacui, recitazioni troppo ingessate hanno lasciato l'amaro in bocche abituate a rigirarsi fra le labbra quel nome - proprio quello - come le olive di un Martini. Fino a che un inglese sul quale nessuno avrebbe scommesso un penny non è stato capace di ridare credibilità a quel nome - proprio quello - e aggiornarlo agli anni Duemila: il Martini ha avuto di nuovo un buon sapore, finalmente.
E proprio come quel cocktail i tantissimi aficionados di una delle saghe cinematografiche più longeve della storia sono rimasti agitati, molto più che mescolati, nell'apprendere che Craig, Daniel Craig non sarà più Bond, James Bond. Come dar loro torto?
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