La 94° edizione degli Academy Awards sarà sicuramente ricordata per il pugno di Will Smith a Chis Rock che aveva fatto una battuta sui capelli della moglie Jada Pinkett Smith. Non è stata una gag per movimentare la serata e si è visto subito. Quando poi l’attore è salito sul palco per ritirare il primo Oscar della sua carriera, si è commosso e scusato dicendo che l’arte imita la vita e lui si è comportato come un papà pazzo come è il suo personaggio di Richard Williams in Una famiglia vincente - King Richard.
Quasi tutto è andato secondo le previsioni della vigilia al Dolby Theatre di Los Angeles, dal premio a Jessica Chastain come miglior attrice protagonista per Gli occhi di Tammy Faye e ad Ariana DeBose come non protagonista per West Side Story, alla sceneggiatura originale per Belfast fino alla miglior regia per Il potere del cane a Jane Campion che è la terza cineasta a essersi aggiudicata la statuetta dopo Kathryn Bigelow per The Hurt Locker e Chloé Zhao per Nomadland. In questa categoria c’è poi un’altra statistica interessante. Dopo Kathrin Bigelow, Damien Chazelle è stato l’unico americano a vincere con La La Land negli ultimi dodici anni. Il potere del cane resta comunque il grande sconfitto di questa serata con un solo Oscar su dodici nomination e ricorda il magro bottino di Il gigante agli Oscar del 1957 dove su 10 nomination aveva vinto soltanto George Stevens per la miglior regia.
Non era favorito ma non ce l’ha fatta Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio. Drive My Car, dopo il Golden Globe, rispetta i pronostici aggiudicandosi il miglior film internazionale così come era prevedibile la vittoria di Summer of Soul come documentario. L’unica vera sorpresa è stato il trionfo di I segni del cuore. Coda con tre Oscar su tre nomination: miglior film, sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista a Troy Kotsur, salutato da tutto il pubblico in piedi con le mani alzate. Dune è a sua volta il film che, con sei statuette, è stato il più premiato di questa edizione. Di queste, quattro però (montaggio, suono, colonna sonora e scenografia) non sono state mostrate dal vivo: da quest’anno, infatti, l’Academy ha deciso che i vincitori di otto premi tecnici sarebbero stati annunciati prima dell’inizio della diretta per cercare di fronteggiare il flop di ascolti della scorsa edizione dove l’evento è stato seguito da meno di dieci milioni di spettatori, più del 50% in meno dei 23,6 del 2020 e renderlo più movimentato. L’obiettivo però è fallito.
Ritmo stanco, ringraziamenti lunghi e solo qualche momento di autentica nostalgia come negli omaggi a Il Padrino con Francis Ford Coppola, Al Pacino e Robert de Niro e Pulp Fiction in compagnia di John Travolta, Uma Thurman e Samuel L. Jackson o di vera partecipazione come il minuto di silenzio dedicato al popolo ucraino. Anche se per motivi diversi, gli Academy Awards come i Golden Globes forse andrebbero ripensati. Per quanto riguarda i premiati invece ci sono due grandi rimpianti. Il primo è per Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson e, in seconda battuta, per West Side Story di Steven Spielberg. Due film diversissimi ma che dialogano apertamente con il cinema del passato – gli anni ’70 il primo, il musical fine anni ’50 il secondo – ma che sono anche vitali, modernissimi e carichi di una passione travolgente. Il secondo è per Kristen Stewart e la sua interpretazione di Lady D in Spencer di Pablo Larraín. Rispetto alla classicità delle altre quattro candidate, la sua prova è imprevedibile e dirompente, al momento troppo in avanti e di rottura. Forse è l’unico vero alieno di un’edizione troppo grigia per potersi accorgere di lei.
Simone Emiliani
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