Non ci sono state grandi sorprese e in gran parte sono stati rispettati i “Toto Leoni” dei giorni precedenti.
Ma il verdetto dell’80° Mostra del Cinema di Venezia, è stato comunque soddisfacente. La giuria preseduta da Damien Chazelle ha premiato alcuni dei film migliori di un concorso di buonissimo livello.
Il film vincitore del Leone d’oro, Povere creature!, è stato tra i titoli che hanno avuto un ottimo riscontro già dopo la proiezione ufficiale.
Tratto dal romanzo di Alasdair Gray, è un incrocio tra gli horror Universal anni ’30, il melodramma fantastico inglese (Powell e Pressburger) e La morte ti fa bella di Zemeckis.
Emma Stone è la versione dark di Barbie (forse l’attrice statunitense avrebbe meritato la Coppa Volpi come miglior attrice al posto di Cailee Spaney, la protagonista di Priscilla di Sofia Coppola) ed è affiancata da Willem Dafoe e Mark Ruffalo che la portano in un viaggio visionario che è metafora del cinema e le sue illusioni. Dopo esserci andato vicino cinque anni fa con il Leone d’argento.
Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi a Olivia Colman per La favorita, per Yorgos Lanthimos è la prima vittoria alla Mostra del Cinema di Venezia.
L’Italia, scesa in gara con sei film, si è aggiudicata il Leone d’argento per la regia con Io Capitano di Matteo Garrone, un titolo che ha lasciato il segno per la tematica affrontata, l’odissea di due ragazzi che partono dal Senegal con l’obiettivo di raggiungere il nostro paese, e per un cinema ancora diretto nel mostrare i sogni e i drammi dei suoi protagonisti. Per il regista, già premiato due volte con il Grand Prix Speciale della giuria al Festival di Cannes per Gomorra e Reality, si tratta della prima vittoria alla Mostra alla sua prima partecipazione in competizione. Io Capitano ha ottenuto inoltre il Premio Mastroianni andato all’attore esordiente senegalese Seydou Sarr.
Tra i film più belli di questa edizione c’è Evil Does Not Exist del cineasta giapponese Ryūsuke Hamaguchi, già vincitore dell’Oscar come miglior film internazionale per Drive My Car. Il film, ambientato nel villaggio giapponese di Mizubiki, nei pressi di Tokyo, è una riflessione su rapporto uomo-natura e sul pericolo della rottura dei suoi secolari equilibri ed è come una partitura musicale fatta di suoni, rumori, voci.
Assieme a Green Border di Agnieszka Holland, un doloroso e sconvolgente film di confine (quello tra Polonia e Bielorussia) estremamente attuale che è anche un atto d’accusa all’Europa, è tra i titoli premiati che potevano insidiare il Leone d’oro a Povere creature!.
Meritata anche la Coppa Volpi come miglior attore a Peter Sarsgaard per Memory di Michel Franco dove interpreta un uomo effetto da demenza che incontra un’assistente sociale segnata dai traumi del passato che l’hanno portata ad essere dipendente dall’alcol.
Un’interpretazione toccante quella dell’attore dove però è stato fondamentale anche l’apporto di Jessica Chastain con cui ha costituito tra le accoppiate di protagonisti di cui ci porteremo il ricordo di questa Mostra assieme a quella formata da Carey Mulligan e Bradley Cooper in Maestro, seconda regia dello stesso Cooper dopo A Star Is Born e Guillaume Canet e Alba Rohrwacher in Hors-saison di Stéphane Brizé, questi ultimi due tra i personali film del cuore del festival.
Tra le poche cose che non hanno convinto dei premi finali c’è quello per la miglior sceneggiatura a El Conde di Pablo Larraín con una dimensione grottesca eccessivamente caricata della rappresentazione di Pinochet vampiro, affascinante all’inizio e poi chiusa dentro una dimensione allegorica impermeabile e quasi respingente.
Rimpianti? Quasi nessuno. O quasi. Non si sapeva effettivamente come farli rientrare nel verdetto, però La bête di Bertrand Bonello, Dogman di Luc Besson e Ferrari di Michael Mann sono tre titoli che, in modi diversi, hanno lasciato il segno in questa edizione.
Il primo attraverso le tracce di un cinema del passato che si apre verso il futuro, il secondo con un melodramma di notevole intensità che è oggi il film migliore del cineasta francese assieme a Léon, il terzo con un film gigantesco su Enzo Ferrari ambientato nel 1957 caratterizzato da un’impressionante maniacalità del dettaglio che ha sempre caratterizzato il cinema del regista statunitense.
Tra i premi delle altre sezioni, da sottolineare l’ottimo Explanation for Everything di Gábor Reisz, che offre un quadro politico-realistico sulle nuove forme di ‘banalità del male’ nell’Ungheria di Viktor Orbán e Love Is a Gun, convincente debutto nel lungometraggio dell’attore taiwanese Lee Hong-Chi sulla tragica impossibilità di fuggire dal proprio passato per ambire a un futuro migliore.
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