Federico Fellini, il regista (visionario) per antonomasia. Quello che fa volare Mastroianni tra le nuvole del cielo in 8½ e immagina un transatlantico al largo della sua Rimini in Amarcord. Ma c’è stato anche un Fellini differente. Il Fefè «neorealista» degli esordi. Quello de Le notti di Cabiria, il capolavoro che oggi celebra 65 anni. La storia della lucciola da marciapiede dei sobborghi romani conclude la trilogia degli esclusi. Presentato al Festival di Cannes - l’11 maggio 1957 - il film valse alla musa (e moglie) Giulietta Masina il premio per la migliore interpretazione femminile. Le notti di Cabiria si aggiudicò l’Oscar per miglior film in lingua straniera, per la seconda volta dopo La strada dell'anno precedente. Una doppietta che spalancò le porte di Hollywood al cineasta riminese.
Una prostituta romana crede di avere trovato l'amore con un serio e decoroso impiegato, a cui affida tutti i propri risparmi. L'uomo, in realtà, è un truffatore che l'abbandona portandosi via il denaro e tentando di ucciderla.
L’ispirazione per Le notti di Cabiria venne a Fellini sul set de Il Bidone, grazie all’incontro con una prostituta di nome Wanda: una donna piena di vitalità e, al tempo stesso, fragile che tentò il suicidio per un uomo ma riuscì tuttavia a risollevarsi dalle pene d’amore. Il personaggio di Cabiria proviene da un cameo della stessa Masina ne Lo sceicco bianco (1952), esordio di Fellini. Il lungometraggio si divide in vari episodi, ciascuno incentrato sull’incontro di Cabiria con un cliente; il pilota definisce l’ambiente in cui vive e lavora la protagonista: la squallida periferia di Roma descritta come una discarica umana. Non è un caso che l’ultimo film «verista» di Fellini, prima della svolta de La dolce vita, veda la collaborazione di Pier Paolo Pasolini. Il futuro regista di Accattone (1961), fu consulente alla sceneggiatura (scritta a sei mani con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli). Il mondo della prostituzione aveva da sempre incuriosito Fellini. Dieci anni prima, infatti, il grande maestro scrisse uno degli episodi raccontati (quello dell’incontro tra Cabiria e una star del cinema) per un film di Roberto Rossellini con Anna Magnani. Progetto che, però, non convinse Nannarella: «A Federì, ma ti pare che una come me si fa chiudere nel cesso da uno stronzo d’attore?».
Il nome «Cabiria» significa «nata dal fuoco» e fu inventato da Gabriele D'Annunzio per l'omonimo colossal italiano del cinema muto, diretto da Giovanni Pastrone nel 1914. Antesignano del film epico, Cabiria influenzò il lavoro di D.W. Griffith e la Hollywood di Cecil B. De Mille. Ben lontana dagli stereotipi, la prostituta felliniana è ingenua, spontanea e mai volgare. Una figura tragicomica paragonabile solo all’icona del cinema muto, Charlot. Come Cabiria, Il Vagabondo è un antieroe emarginato e sognatore costretto scontrarsi con la dura realtà. Fu per questo che sarà definita da molti la Chaplin al femminile. Malgrado Cabiria fosse un personaggio positivo - la prima squillo «buona» del cinema - nessuno all'epoca in Italia avrebbe finanziato un film dove la protagonista era una prostituta. Nonostante Fellini avesse, già, vinto un Oscar fu costretto a scendere a compromessi con il produttore Dino De Laurentiis, il quale accettò solo a condizione che il regista tagliasse alcune scene da lui ritenute superflue.
Nel 1969, il re di Broadway Bob trasformò la giovane passeggiatrice notturna di Fellini in una ballerina in cerca del successo e dell'amore nel musical Sweet Charity con Shirley MacLaine. Le notti di Cabiria fu rivoluzionario anche dal punto di vista tecnico, segnando uno spartiacque nella professione di montatore grazie all’operato di Leo Catozzo: stretto collaboratore del regista riminese, nonché inventore della celebre «Incollatrice rapida o Pressa Catozzo». Inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, Le Notti di Cabiria fu incluso anche nella Great Movies List del critico dei critici Roger Ebert e nei 1001 Movies You Must See Before You Die di Steven Schneider, oltre a essere il «Miglior film mai visto» secondo François Truffaut.
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