Sapore di sala

E.T. L'extra-terrestre compie 40 anni. Il capolavoro di Spielberg è (anche) una storia di alienazione

E.T. L'extra-terrestre, il classico di Steven Spielberg, spegne 40 candeline. Presentato in anteprima mondiale - il 26 maggio 1982 - durante la cerimonia di chiusura al 35esimo Festival di Cannes, l’opera fantascientifica debuttò nelle sale statunitensi l’11 giugno diventando il sesto film con il maggior incasso di sempre 

L’alieno dal dito luminoso che ha commosso il mondo intero conquistò 2 Golden Globe (Miglior Film Drammatico e Miglior Colonna Sonora per John Williams) e 4 premi Oscar su 9 candidature.

Il film racconta la storia della straordinaria amicizia tra un extraterrestre bloccato sulla Terra e un bambino di nome Elliot (l’undicenne Henry Thomas che la spuntò su 300 aspiranti al ruolo). Con l’aiuto del fratello maggiore Michael (Robert MacNaughton) e della sorellina Gertie (Drew Barrymore), il ragazzino aiuterà E.T. a tornare nel suo pianeta evitando il governo (a bordo della fiammante BMX rossa).  

L’iconica sequenza della pedalata sulla luna è ispirata a Miracolo a Milano di Vittorio De Sica: «Ho sostituito le scope con le biciclette», ammetterà Spielberg. Il film è stato girato in un ordine cronologico per facilitare le prestazioni del giovane cast. E.T. nasce come horror; Spielberg sviluppò con la sceneggiatrice Melissa Mathison un progetto dal titolo Night Skies, affidando al mago del make-up Rick Baker (Guerre Stellari e Thriller di Michael Jackson) il compito di realizzare un gruppo di alieni cattivi capaci di terrorizzare una famiglia.

Per fortuna, l’idea iniziale fu rimaneggiata ed E.T. è diventato il film che conosciamo. E.T. è opera del leggendario effettista Carlo Rambaldi, con il quale Spielberg collaborò per Incontri ravvicinati del terzo tipo. Il regista lo incaricò di creare un extra-terrestre alto un metro, con piedi sproporzionati e collo lungo; voleva che il suo personaggio avesse un aspetto giovane ma vecchio, al tempo stesso. 

E.T. proviene dalla fanciullezza di Spielberg che immaginò un alieno per amico con cui potesse parlare, dopo il vuoto causato dal divorzio dei suoi genitori che avevano deciso di mettere fine al loro matrimonio, per colpa di una relazione extraconiugale.

La carriera del padre Arnold, ingegnere elettronico e sviluppatore dei moderni computer per General Electric, portò la famiglia di Spielberg da Cincinnati, Ohio, al New Jersey, poi in Arizona e infine in California. Come ebreo ortodosso e figlio di immigrati ucraini, il regista ebbe un’infanzia segnata da episodi di bullismo e di discriminazione 

Spielberg ricorda il periodo del liceo a Saratoga come un "inferno sulla terra": «Avevo paura di andare a scuola, perché mi minacciavano gridandomi "sporco ebreo”». Il giovane Spielberg si sente emarginato oltre che solo, per via del padre che è sempre lontano e quindi assente. L’alienazione, l’isolamento e la diagnosi della dislessia portarono Spielberg a creare mondi avventurosi e fantastici.

Il suo incontro con il cinema avvenne con la visione de Il più grande spettacolo del mondo del 1952. Il colossal circense di Cecil B. DeMille, lo spirò a realizzare a soli 7 anni il primo film amatoriale in 8 mm. Il divorzio dei suoi genitori avrebbe continuato a tormentarlo anche negli anni del college, durante il periodo di stagista agli Universal Studios. Steven incolpava suo padre Arnold e trovava conforto nella madre Leah.  

Il risentimento e l'assenza intenzionale della figura paterna sarebbero diventati il leitmotiv della filmografia di Spielberg. In E.T., il papà del piccolo Elliott, a dire della mamma, si trova in Messico per lavoro, ma in realtà si tratta di una bugia per coprire la separazione tra i due.  

Ci sarebbero voluti anni prima che Spielberg accettasse, finalmente, la verità e cioè che fosse stata sua madre ad avere la relazione extraconiugale, da sempre. Fu suo padre a tenerglielo nascosto, per proteggere l'immagine della madre a suo figlio.

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