Diario di bordo

Gli schiavi di Pompei e gli schiavi di Napoli

Lunedì 8 novembre 

Gli scavi di Pompei continuano a sfornare ritrovamenti eccezionali.
Ora è la volta di una stanza, subito denominata la “stanza degli schiavi”, emersa pressoché intatta nella villa di Civita Giuliana (uno scavo che per decenni e fino a ieri era stato spogliato dai tombaroli). Qui non ci sono affreschi o disegni licenziosi, ma una stanzetta spoglia, senza finestre, solo tre brandine di legno (corda al posto dei materassi), anfore a mo’ di cassetti, due brocche, un vaso da notte in mezzo a finimenti di cavallo e al timone di un carro. Secondo il direttore generale di Pompei Gabriel Zuchtriegel, il ritrovamento ci permetterà di capire meglio “la vita quotidiana della classe più umile”, quella che non compare quasi mai nei testi dei letterati o degli storici.
Al plauso per la nuova scoperta si è unito, con fervore, il ministro della cultura Dario Franceschini, per il quale Pompei diventa sempre più il nostro “asset” culturale più importante, che ci permette, attraverso il passato, di leggere il futuro.

Passando in un lampo dal 79 d.c. ad oggi e da Pompei alla vicinissima Napoli, ecco un altro caso di studio da considerare, per la serie “come vivevamo nel 2021 d.c.”. Nel centro della città, rione Materdei, c’è una grande officina meccanica in cui da due anni lavora Didier, 32 anni, immigrato dalla Costa d’Avorio, in attesa di status di rifugiato; fa molti lavori, tra cui l’elettrauto e il gommista. Viene pagato 15 euro al giorno per un orario dalle 8 alle 20; pensa di aver diritto a un aumento e lo chiede al titolare dell’officina; la sua risposta – molto adirata – la potete ascoltare su You Tube: “sei un negro di merda, rimarrai schiavo a vita, devi fare solo il negro, lo schiavo tutta la vita”.

Chissà se li trattavano meglio o peggio di così, gli schiavi a Pompei, 1942 anni fa.    

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