Passato di letture

Il vento conservatore. La destra populista all'attacco della democrazia

Illustrazione di Chiara Seveso, 2022, studentessa del Triennio in Media Design e Arti Multimediali, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti

Illustrazione di Chiara Seveso, 2022, studentessa del Triennio in Media Design e Arti Multimediali, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti

Un gruppo di amici che insieme fanno gare sportive o vanno a caccia. Puntualmente accade qualcosa di disastroso per uno di loro il quale esclama «Fermate il mondo, voglio scendere!» A quel punto tutti bevono un Cynar. Era l’ultima versione di un Carosello del 1976 – l’anno successivo “Carosello” sarebbe andato definitivamente a riposo. Quella che nel 1976 era una battuta è un refrain dal contenuto inquietante.

Non abbiamo più né futuro progressista né un futuro utopico. Più sinteticamente, direbbe Miguel Benasayag, il futuro ha cessato di essere una promessa, per presentarsi nelle vesti della minaccia. Siccome non sappiamo più prevedere e sognare futuro, allora vorremmo fermare il tempo, o almeno invertirlo.

Il vento conservatore da cui muovono le considerazioni di Giorgia Serughetti, muove da questa condizione.

Il vento conservatore. La destra populista all'attacco della democrazia

In un mondo sempre più stretto nella morsa dell'insicurezza economica e dell'incertezza sul futuro, si alza il vento conservatore. Crescono movimenti e partiti politici che rassicurano il proprio elettorato mostrandosi ostili all'eguaglianza sociale, all'accoglienza degli stranieri, ai diritti delle donne e delle minoranze sessuali, mettendo a rischio i valori fondativi delle nostre democrazie.

Il vento è cambiato da molti punti di vista rispetto a quello soffiato a lungo nel secondo dopoguerra quando la parola chiave era inclusione. Oggi la parola chiave è «Noi». A differenza di quello novecentesco «Noi» da «pronome aperto» è diventato «pronome pericoloso».

Così il tema è contemporaneamente il fascino per una idea protettiva che per essere efficace prima di tutto deve dichiarare chi esclude, e non chi vuole includere; dichiara chi salva e chi no, e dunque chi ha diritti e chi non li ha oggi, né è prevedibile e, nel linguaggio conservatore, è auspicabile, che non li consegua neppure domani.

L’idea di futuro è dunque fondata sulla selezione. Non tutti possono stare nella stessa barca. Un tempo la preoccupazione sarebbe stata allargare la barca, dotarla di strumenti per renderla sempre meno stretta. Oggi, alla rovescia, il fine è dare corpo a un muro per impedire l’accesso.

Come si risponde?

Serughetti propone tre ipotesi:

la prima: un processo educativo, prevalentemente, anche se non esclusivamente nel sistema scolastico, capace di stimolare curiosità anziché coltivare prevalentemente l’orgoglio di sé.

La seconda stimolare attraverso le arti (cinema, teatro, soprattutto) la curiosità e la consapevolezza che la propria cultura da sola non è sufficiente.

La terza: produrre voglia di politica, e che politica non sia solo urlo identitario o piazza populista.

Tutte e tre dicono che quella del vento conservatore non è una stagione di breve periodo.

È un tempo che forma passioni, lascia in eredità parole e immagini che entrano nel senso comune e da cui non ci si libera solo aspettando che “passi la nottata”.

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